Di portoni e finestre

Quando si chiude una porta, si apre un portone, dicono.

L’ho sempre considerata la classica frase di circostanza, il solito modo per dire qualcosa ad una persona che evidentemente sta soffrendo, e a cui ti senti in dovere di offrire una parola di conforto, senza dirle effettivamente nulla, perché tutto quello che sta dietro a quelle nove parole (sì, le ho contate. Tre volte. Per non rischiare di trovare un commento che mi dicesse: “oh cretina, le parole sono solo otto!”. E adesso sto sperando vivamente di non aver sbagliato a contarle per ben tre volte, perché sarebbe molto imbarazzante) è semplicemente “Vederti in queste condizioni mi dispiace sinceramente, ma non abbastanza da convincermi a dimenticare per un momento le mie di porte chiuse e non ho davvero tempo per cercare di capirti, ho anche io i miei problemi. Sono sicuro che in qualche modo ne verrai fuori, in fondo nessuno è mai morto per una sciocchezza simile.” cioè è semplicemente una sorta di compromesso con la propria coscienza… “io non le ho voltato completamente le spalle, le ho rivolto almeno una parola di conforto. Certo, avrei potuto fare di più, ma proprio non ne ho avuto la possibilità e il tempo (diamo la colpa al tempo che almeno non si corre il rischio che ribatta alle accuse che gli vengono rivolte). Io ho fatto quello che ho potuto. E questo è quanto.”

Bene, mi sto dilungando un po’ troppo…tutto questo per dire che ogni volta che qualcuno per consolarmi se ne è saltato fuori con quest’infelice modo di dire io mi sono sempre trattenuta a stento dal lanciargli un’occhiataccia e dall’aggiungere un commento poco simpatico e mi sono sempre limitata a rispondere con un sorriso poco convinto senza darmi nemmeno la pena di prendere in considerazione il fatto che quelle parole avrebbero potuto significare davvero qualcosa. 

E alla fine, come mi capita fin troppo spesso, mi sono ritrovata a farlo solo molto tempo dopo. Ho passato qualche giorno a guardarmi intorno un po’ disorientata, cacciando gli occhi nel buio di una stanza vuota, dopo essere stata io stessa a chiudere una porta. Ed è stato in quel momento che mi sono tornate in mente tutte le volte in cui avevo giudicato quella frase stupida e banale. Ed è stato sempre in quel momento che quella frase ha smesso di essere stupida e banale per me e ho cominciato a chiedermi se il detto valga non solo nel caso in cui la porta non si sia chiusa da sola, ma anche nel caso in cui sia stata io stessa a chiuderla. Così quando i miei occhi riuscivano a vedere solo tutta quell’oscurità mi sono aggrappata a quella sciocca frase e ho atteso invano fiduciosa, aspettando che il portone che mi spettava di diritto si aprisse.

Inutile dire che così non è stato, ma questo non mi ha distolto dal riflettere su quelle pluricitate nove parole e alla fine sono arrivata ad una conclusione importante. Forse banale quanto la frase stessa, ma comunque importante, per me almeno: la porta che mi si era chiusa alle spalle non si era chiusa per caso, o comunque a causa di qualcosa a me estraneo, si era chiusa solo perché ero stata proprio io a volerlo, quindi ovviamente aspettare che il caso o qualcosa di a me estraneo aprissero un portone per me non era la cosa più giusta da fare. Così come ero stata io a chiudermi alle spalle la porta, avrei dovuto essere proprio io a cercare, trovare e aprire il mio portone. E così ho fatto. O meglio, e così ho tentato di fare. Ho cercato a tentoni la maniglia del tanto ambito portone senza trovarla, ho sbattuto un paio di volte la testa contro il muro e mi sono seduta a terra con la testa fra le ginocchia e le guance rigate di lacrime, convinta che da quella stanza non sarei più uscita. Delusa e arrabbiata con me stessa e con “tutto il resto” (anche tutto il resto è difficile che riesca a controbattere), però ci avevo provato sul serio a trovare il portone, ci avevo creduto davvero, le mie lacrime in quel momento non erano solo un piangersi addosso, avevano più senso, più forza e forse è proprio per questo che alla fine li ho sentiti: tre sonori colpi contro il vetro di una finestra che non avevo notato perché più in alto rispetto alla maniglia del portone che mi ero aspettata di trovare. In fondo cosa importa se non sono uscita da un portone, ma da una finestra? Tra l’altro i portoni non mi sono mai stati molto simpatici, troppo “oni”, dico io. La finestra invece era perfetta, mi sono dovuta arrampicare per raggiungerla, ma ne è valsa la pena. Quando sono finalmente riuscita ad uscire ho notato una familiare figuretta ammantata di blu che si allontanava in tutta fretta agitando una mano in segno di saluto. Non importa che se ne sia andata così di corsa, se è stata proprio lei, la mia Felicità, a bussare alla finestra, è sufficiente sapere che io sia ancora capace di vederla, anche solo ogni tanto, perché basta anche un solo momento di quella felicità irragionevole, e proprio per questo più vera, a farmi dimenticare l’angoscia delle lacrime versate quando sembrava che ci fossero solo muri contro cui sbattere la testa. E ritorno a raccogliere papaveri ai bordi della strada sulla via di casa, a cantare a squarcia gola sotto la doccia, a ridere, piangere o trattenere il fiato anche solo per una storia che leggo tra le pagine di un libro, a respirare più a fondo l’aria fresca della sera che sembra dilatare i minuti e darmi il tempo di assimilare ognuna delle sensazioni che la giornata mi ha lasciato sulla pelle, ad addormentarmi serena, senza avere paura che il giorno seguente possa essere triste e vuoto, perché non ci possono essere giorni del tutto tristi e vuoti a meno che io decida di non viverli affatto.

4 pensieri su “Di portoni e finestre

  1. Non c’entra con le porte..ma..cavolo!! Oggi passeggiavo e mi sono seduta..e..non ho potuto fare a meno di notare, mentre mi specchiavo in un fiume (perchè non ho proprio niente da fare), che i miei capelli sono castani biondi e neri nello stesso tempo! E iniziano con delle curve per poi finire più dritti…ci hai mai fatto caso?!

    P.S. Non sono scema…Ari vero che hai capito?!=P

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